A seguito della scoperta dei reperti archeologici di Mohenjo Daro e Harappa appartenenti alla civiltà della valle dell’Indo avvenuti nei primi anni del XX secolo, lo shivaismo viene attualmente considerato il più antico cammino spirituale del mondo, risalente ad un periodo compreso tra il 3300 e il 1300 A.C. Nella tradizione Indù, Shiva rappresenta l’ipostasi di Dio che si manifesta quale Grande Iniziatore o Grande Salvatore degli esseri limitati ed ignoranti. Ogni sincera aspirazione verso lo stato di liberazione spirituale è rivolta, di fatto, a questo aspetto salvifico di Dio. L’immagine di Shiva è strettamente correlata alla manifestazione della Grazia Divina, indispensabile per il raggiungimento dello stato di liberazione spirituale, motivo per il quale si può affermare che lo shivaismo è presente in ogni via spirituale autentica seppur con diversi nomi e rappresentazioni.
Dei sei “filoni” dello shivaismo, tre risultano essere i più importanti: il VIRA-SHAIVA, diffuso prevalentemente nella zona centrale dell’India; lo SHIVA-SIDDHANTA nel sud, e l’ADVAITA-SHIVA, la forma più pura ed elevata di shivaismo, nel Kashmir, a nord dell’India. Come molte antiche tradizioni spirituali, lo shivaismo kashmiriano fu per molti secoli tramandato oralmente da Maestro a discepolo. La prima opera scritta, lo Shiva Sutra è attribuita al saggio Vasugupta, (presumibilmente vissuto tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX secolo d.C.). In quest'opera, composta da aforismi apparentemente ermetici, sono descritte le tre vie fondamentali che conducono il discepolo alla liberazione spirituale. Esse sono: Shambavopaya la via di Shiva, Shaktopaya la via di Shakti e Anavopaya la via dell’essere limitato. Vasugupta afferma di essere solo il trascrittore dello Shiva Sutra, i cui 77 aforismi gli sono apparsi incisi su una roccia, indicatagli da Shiva stesso in sogno.
La letteratura riferita alla tradizione shivaita può essere suddivisa in tre parti principali: Agama Shastra -> che comprende lo Shiva sutra, il Vijnana Bhairava Tanta ecc. e che si considera come una rivelazione diretta di Shiva
Spanda Shastra -> che comprende lo Spanda Karika di Vasugupta o del suo discepolo Kallata, contenente gli elementi didattici del sistema.
Pratyabhijna Shastra -> che comprende l’Ishvara Pratyabhijna di Utpaladeva e il Pratyabhijna Vimarshini contenenti gli aspetti metafisici e di più difficile comprensione.
LA TRADIZIONE
Nella tradizione shivaita spiccano le scuole raggruppate nel sistema Trika. Trika, che in sanscrito significa “trinità”, sta ad indicare che tutto ha una triplice natura (è immediato il paragone con la trinità della religione Cristiana). Questa trinità è composta da: Shiva (L’Assoluto), Shakti (l’Energia creatrice fondamentale) e Anu (l’individuo non ancora “risvegliato”, la proiezione limitata della divinità).
Le quattro scuole del sistema Trika sono:
Krama – in sanscrito: “processo”, “ordinamento”, “successione ordinata”;
Kaula (Kula) – in sanscrito: “comunità”, “famiglia”, “totalità”;
Spanda – termine che indica la Suprema Vibrazione Creatrice Divina;
Pratyabhijna – termine che si riferisce al riconoscimento diretto dell’Essenza Divina;
L’essenza di queste quattro correnti è stata sintetizzata e unificata dal saggio Abhinavagupta, massimo esponente di questo sistema, che nella sua famosa opera Tantraloka, dipana le apparenti differenze tra le scuole dello shivaismo kashmiriano, fornendo una visione coerente e completa del sistema. Per rendere più accessibile l’insegnamento contenuto nel Tantraloka, Abhinavagupta compose un commentario in prosa di quest’ultimo, chiamato Tantrasara. Abhinavagupta vissuto a cavallo tra il X e l'XI secolo d.C. è noto ad oggi come uno dei maggiori filosofi ed esteti dell’India, grazie ai suoi scritti profondamente spirituali e all’inestimabile lavoro di sintesi delle teorie spirituali del suo tempo.
Suo successore e discepolo fu Kshemaraja, con la cui scomparsa andò scemando la tradizione dello shivaismo nel Kashmir fino a quando, 300 anni più tardi nel sud dell’India, tornò alla luce grazie al celebre Jayaratha, noto per la sintetizzazione del Tantraloka e a Bhattanarayana autore dello Svatacintamani. L’ultimo esponente riconosciuto della tradizione shivaita è Swami Brahmacharin Lakshman (Lakshmanjoo), scomparso nel 1992. L’accento posto sulla Grazia di Dio e sul risveglio del cuore, pongono lo Shivaismo kashmiriano molto vicino alla tradizione Cristiana autentica. Numerosi documenti ritrovati in Tibet testimoniano infatti l’apparizione in India ed in Tibet di Gesù, che visse in questi luoghi tra i 12 e i 30 anni. Oltre alle analogie riscontrate con la tradizione cristiana, lo shivaismo condivide l’idea fondamentale del misterioso legame di tutto con il tutto con la tradizione tantrica. Con quest’ultima condivide anche la visione dell’universo, inteso come una gigantesca rete di risonanze virtuali che si stabiliscono tra ogni punto (“atomo”) dell’Universo e tutti gli altri “atomi”. Così, conoscendo profondamente un singolo aspetto (“atomo”) dell’Universo, possiamo conoscere il tutto, l’universo intero, in quanto tutto è risonanza.
Dei sei “filoni” dello shivaismo, tre risultano essere i più importanti: il VIRA-SHAIVA, diffuso prevalentemente nella zona centrale dell’India; lo SHIVA-SIDDHANTA nel sud, e l’ADVAITA-SHIVA, la forma più pura ed elevata di shivaismo, nel Kashmir, a nord dell’India. Come molte antiche tradizioni spirituali, lo shivaismo kashmiriano fu per molti secoli tramandato oralmente da Maestro a discepolo. La prima opera scritta, lo Shiva Sutra è attribuita al saggio Vasugupta, (presumibilmente vissuto tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX secolo d.C.). In quest'opera, composta da aforismi apparentemente ermetici, sono descritte le tre vie fondamentali che conducono il discepolo alla liberazione spirituale. Esse sono: Shambavopaya la via di Shiva, Shaktopaya la via di Shakti e Anavopaya la via dell’essere limitato. Vasugupta afferma di essere solo il trascrittore dello Shiva Sutra, i cui 77 aforismi gli sono apparsi incisi su una roccia, indicatagli da Shiva stesso in sogno.
La letteratura riferita alla tradizione shivaita può essere suddivisa in tre parti principali: Agama Shastra -> che comprende lo Shiva sutra, il Vijnana Bhairava Tanta ecc. e che si considera come una rivelazione diretta di Shiva
Spanda Shastra -> che comprende lo Spanda Karika di Vasugupta o del suo discepolo Kallata, contenente gli elementi didattici del sistema.
Pratyabhijna Shastra -> che comprende l’Ishvara Pratyabhijna di Utpaladeva e il Pratyabhijna Vimarshini contenenti gli aspetti metafisici e di più difficile comprensione.
LA TRADIZIONE
Nella tradizione shivaita spiccano le scuole raggruppate nel sistema Trika. Trika, che in sanscrito significa “trinità”, sta ad indicare che tutto ha una triplice natura (è immediato il paragone con la trinità della religione Cristiana). Questa trinità è composta da: Shiva (L’Assoluto), Shakti (l’Energia creatrice fondamentale) e Anu (l’individuo non ancora “risvegliato”, la proiezione limitata della divinità).
Le quattro scuole del sistema Trika sono:
Krama – in sanscrito: “processo”, “ordinamento”, “successione ordinata”;
Kaula (Kula) – in sanscrito: “comunità”, “famiglia”, “totalità”;
Spanda – termine che indica la Suprema Vibrazione Creatrice Divina;
Pratyabhijna – termine che si riferisce al riconoscimento diretto dell’Essenza Divina;
L’essenza di queste quattro correnti è stata sintetizzata e unificata dal saggio Abhinavagupta, massimo esponente di questo sistema, che nella sua famosa opera Tantraloka, dipana le apparenti differenze tra le scuole dello shivaismo kashmiriano, fornendo una visione coerente e completa del sistema. Per rendere più accessibile l’insegnamento contenuto nel Tantraloka, Abhinavagupta compose un commentario in prosa di quest’ultimo, chiamato Tantrasara. Abhinavagupta vissuto a cavallo tra il X e l'XI secolo d.C. è noto ad oggi come uno dei maggiori filosofi ed esteti dell’India, grazie ai suoi scritti profondamente spirituali e all’inestimabile lavoro di sintesi delle teorie spirituali del suo tempo.
Suo successore e discepolo fu Kshemaraja, con la cui scomparsa andò scemando la tradizione dello shivaismo nel Kashmir fino a quando, 300 anni più tardi nel sud dell’India, tornò alla luce grazie al celebre Jayaratha, noto per la sintetizzazione del Tantraloka e a Bhattanarayana autore dello Svatacintamani. L’ultimo esponente riconosciuto della tradizione shivaita è Swami Brahmacharin Lakshman (Lakshmanjoo), scomparso nel 1992. L’accento posto sulla Grazia di Dio e sul risveglio del cuore, pongono lo Shivaismo kashmiriano molto vicino alla tradizione Cristiana autentica. Numerosi documenti ritrovati in Tibet testimoniano infatti l’apparizione in India ed in Tibet di Gesù, che visse in questi luoghi tra i 12 e i 30 anni. Oltre alle analogie riscontrate con la tradizione cristiana, lo shivaismo condivide l’idea fondamentale del misterioso legame di tutto con il tutto con la tradizione tantrica. Con quest’ultima condivide anche la visione dell’universo, inteso come una gigantesca rete di risonanze virtuali che si stabiliscono tra ogni punto (“atomo”) dell’Universo e tutti gli altri “atomi”. Così, conoscendo profondamente un singolo aspetto (“atomo”) dell’Universo, possiamo conoscere il tutto, l’universo intero, in quanto tutto è risonanza.